Il percorso obbligato

Era stanco di andare avanti. Si sentiva chiuso in un movimento obbligatorio, orientato in una direzione unica. Voleva smettere di procedere verso traguardi inevitabili, avrebbe voluto fermarsi, tornare indietro, ma ogni volta che si voltava, solo il buio sembrava aspettarlo. Se ne stava tutto il giorno a camminare, mentre con gli occhi socchiusi dal sonno, guardava uomini che si incontravano, parlavano, litigavano. Donne velate dalla fame. Giovani con fucile in spalla ed un ridicolo guscio metallico per cappello. Ricchi imprenditori vestiti in ghingheri, e poveri straccioni sdentati, dimenticati ai margini della strada. Eppure, mai nessuno gli rivolgeva la parola, quasi fosse invisibile. Quelli che parlavano di lui, lo facevano in terza persona, e, perlopiù aprivano bocca per disprezzarlo, umiliarlo, per criticarne il lavoro. Lui rispondeva stringendo le spalle con forza tentando di non compatirsi, di non rallentare il cammino.
Ma era stanco di andare avanti. Stanco di girare le gambe a vuoto, un passo dopo un altro. Il suo armadio era una lunga collezione di scheletri, neanche un abito presentabile da indossare. Aveva messo insieme la sua memoria in foto poco più grandi di un francobollo, che a stento se ne distingueva il soggetto. Ma era meglio così, perchè almeno poteva immaginare che vi fosse raffigurato qualcosa di diverso. Qualcosa di diverso dall' inesorabile avanzare delle esplosioni, avvolte in nuvole di polvere e fumo. Adulti, vecchi e bambini raschiati via dalla corteccia della Terra, in poco più di un secondo. Anche quelli che non morivano, sarebbe stato molto meglio se lo fossero. E tutto si concludeva, senza neanche lasciare una chiazza di sangue sul terreno per concimare i campi. Lui, camminando, si convinceva di aver visto in quei francobolli prati fiorire, o cascate riposarsi in un letto di ghiaccio in pieno inverno. Sperava di aver guardato campi di girasole orientarsi tutti assieme come schiere di parabole puntate verso la vecchia stella rossastra. Ma, per quanto spazzasse l' orrore buttandolo sotto i piedi dei mobili e sotto il letto, prima o poi quello sbucava di nuovo, appeso a qualche parete come un quadro. E allora, anche le piccole foto gli apparivano per quello che davvero raffiguravano. Il deserto della sua inquietudine.
Eppure era tutto iniziato quel giorno. Aveva smesso di piovere da poco, e a Baghdad c' era ancora quell' aria frizzante che precede il sereno. Poi era arrivata l' esplosione, che si era espansa come un' enorme bolla di sapone divoratrice. E lui era sopravvissuto, come sempre. Ed era stato tutto lì.
Adesso realizzò d' essere un privilegiato, smise d' autocommiserarsi. La sua emarginazione non era più il problema. La sorte peggiore era stata assegnata ad altri, quelli che al suo confronto avevano la vita breve delle farfalle. Si sentiva improvviamente vecchio, saggio, e responsabile. E dopo milioni d' anni di viaggio, ci volle un istante, perchè finalmente capisse.
Avrebbe smesso di andare avanti. Avrebbe smesso di camminare su quel solco profondamente segnato. Era, in fondo, un gesto di compassione.
Fu un pomeriggio del 27 febbraio 2006, un piovoso giorno d' inverno, che il Tempo si fermò.
Post Scriptum: Se avete avuto la pazienza di leggere questo post, perdonatemi, la mia prosa fa schifo, ma sapete meglio di me che tutto questo potrebbe ripetersi, anche in
Iran.