Munchhausen
12/04/2005
  James G. Ballard

La prima missione su Marte

Un racconto breve di James G. Ballard - La Repubblica






Dean Irwin poggiò il piede sulla superficie opaca del pianeta. La terra franò con la rapidità con cui la farina viene soffiata lontano da uno starnuto. Poi la suola della scarpa smise di affondare, l’ astronauta potè lasciar scivolare giù anche l’ altra gamba ed abbozzare un passo: era la prima volta che due uomini stavano in piedi su quel soffice strato di polvere che il vento aveva raccolto nel corso di millenni. Fu quello il momento in cui il capitano Clifford Horner lo chiamò.
- Muoviti
Il casco bianco nascose la smorfia di disappunto che gli si dipinse sul volto, mentre, passo dopo passo, si avvicinava al capitano. Ci volle quasi un minuto perché gli fosse accanto e potesse rispondere.
- Stavo gustando il momento.
- Abbiamo meno di due ore e tu gusti il momento ?
Clifford fece un cenno con la mano e i due s’ incamminarono più veloce che poterono verso il sito minerario, uno in fila all’ altro. La polvere rugginosa li lambiva in lunghissime folate di vento, rendendoli quasi invisibili. A pochi metri di distanza Dean distingueva il suo superiore solo dal luccichio metallico emesso dalle braccia foderate della tuta. Per muoversi si affidava quasi completamente alla freccia iridescente che appariva sul display del suo radar portatile. Con la mano destra, ogni tanto, ne spolverava meccanicamente il vetro, come era stato istruito a fare. Dopo circa venti minuti entrambi si fermarono e si ritrovarono di nuovo uno accanto all’ altro, casco contro casco.
- Secondo piano ?
- Secondo piano.
- Bomba assemblata ?
L’ astronauta pensò per un’ attimo alla bomba attaccata alle sue spalle a mò di zaino. Tese con un dito le fascie di carbonio nero che si incrociavano sul suo petto e sentì il peso dell’ oggetto. Era così come lo ricordava.
- Assemblata.
I due ripresero a camminare nella nebbia rossastra. A volte aveva la sensazione di muoversi in una immensa tazza di thè bollente, e con quell’ ordigno ben stretto alla schiena, temeva di far la fine della zolletta di zucchero. Se si fosse armato per sbaglio, non ci sarebbe stato neanche bisogno di raccogliere i pezzi di eroe sparsi per tutto il pianeta: non sarebbe rimasto niente. Almeno i prossimi astronauti scesi su Marte, non si sarebbero dovuti affannare nella ricerca, al massimo avrebbero piantato una bandiera in memoria. Eppure quella bomba era l' unico modo rapido per scavare la superficie rocciosa del pianeta. Un modo un pò rudimentale, in effetti, e pesante da trasportare.
- Secondo piano ?
- Secondo piano.
- Bomba assemblata ?
- Bomba assemblata .
Irwin si riaccodò al suo superiore. Schivò con un rapido salto un masso che gli rotolava accanto al piede destro, e a stento riuscì a non inciampare. Horner si era fermato ad aspettarlo, e lo fissava voltato all' indietro. Dean affrettò il passo per raggiungerlo e si fece coraggio solo quando scorse le iniziali luminose G.W.B. stampate sul petto del compagno. G.W.B. l’ uomo che ci ha salvato, l’ uomo che ci ha portato quì. Passarono altri venti minuti e poi si fermarono di nuovo.
- Secondo piano ?
- Secondo piano.
- Bomba assemblata ?
- Bomba assemblata .
Gli astronauti ripresero il loro viaggio. G.W.B. Quayle era il Presidente che cento anni prima aveva salvato il Terzo Pianeta del Sistema Solare dalle instabilità interne. Ci erano volute cinque decadi e metà della crosta terrestre resa radioattiva, ma tra le popolazioni superstiti, la fede in G.W.B. e nel suo progetto di colonizzazione di Marte era assoluta. Dean e Clifford, poi, erano stati scelti per la prima missione anche in virtù della loro fervente ed incondizionata adorazione di quell’ uomo. Lode a G.W.B.
- Secondo piano ?
- Secondo piano.
- Bomba assemblata ?
- Assemblata .
Le spalle gli dolevano: difficilmente avrebbe voluto fare ancora qualche passo. Si consolò pensando al fatto che, una volta nell’ astronave, si sarebbe adagiato nel letto ed ogni stanchezza e dolore che ora provava, si sarebbero esauriti, congelati per tre anni.
Erano passati altri venti minuti circa e si fermarono di nuovo. Le due facce si guardarono attraverso le visiere, non una goccia di sudore. Era questa la schiavitù delle tute spaziali, pensò, tanta fatica, e non hai neanche il permesso di sudare.
- Secondo piano ?
- Secondo piano.
- Bomba assemblata ?
- Bomba assemblata .
Ripresero ad avanzare nella nebbia.
Le forze erano poche, ma il punto di controllo era vicino, e quando lo raggiunsero, si poterono fermare del tutto. Irwin lasciò scivolare il suo zaino, sganciò le fascie di carbonio dall’ ordigno e finalmente lo poggiò sul suolo. Il compagno preparò il telecomando nella mano destra ed inserì uno ad uno i codici per completare la procedura di attivazione. La missione di Dean era finita quì : tre anni trascorsi in uno stretto abitacolo errante per lo spazio, ed ora non rimaneva che il ritorno. In fondo era un po’ deluso, avrebbe voluto restare di più.
- Perché abbiamo fatto questo ? – chiese ironico
- Giacimenti minerari – rispose Clifford - I giacimenti sono il primo passo della colonizzazione di un pianeta, poi verrano le ditte di costruzione…
-... i cinema ed i Luna Park…
Dean si guardò intorno con l’ aria annoiata di chi sta aspettando un autobus di domenica. La sua espressione era poco adatta a chi visitasse un pianeta alieno per la prima volta, ma il suo compito era finito, ed ogni ulteriore esplorazione gli era preclusa. Non aveva nulla da fare.
Poi la noia cessò e lasciò il posto alla curiosità. Più si guardava intorno e più avvertiva qualcosa che non quadrava. Come un orologio fuori sesto. Questo luogo era diverso da come lo aveva visto nelle foto scattate dal satellite per il briefing. Doveva essere un terriccio brullo e piatto. Eppure, sulla sua destra, in mezzo alla polvere rossa, notò per la prima volta delle lunghe striature, come delle crepe di un diverso colore. Aspettò che il vento si diradasse e si avvicinò ad uno di quei solchi per esaminarli meglio. Notò che non erano solchi. Erano simili a dei fiori che avessero da poco iniziato a germogliare. Fiori.
- Vieni qui Clifford.
- Non disturbarmi, devo completare il piano.
- Vieni subito.
Fiori. Erano proprio fiori quelli che scorgeva a pochi passi dai suoi piedi. Una specie sconosciuta. D’ un tratto si sentì un’ essere minuscolo. Era sicuramente una forma di vita primordiale che si stava evolvendo da chissà quanti millenni fra le roccie piatte e secche di quel pianeta. E lui era lì accanto, avvolto in un ridicolo e ingombrante scafandro di plastica.
Clifford finì di armare la bomba, si alzò e guardò dove indicava il compagno.
Forse non erano fiori, ma erano sicuramente più sviluppati di batteri. Anche il capitano vedendoli si sentì improvvisamente piccolo: ed era un uomo alto quasi due metri. Quelli che avevano davanti erano la prova che esistevano forme di vita anche su altri pianeti. Erano la prova che la vita seguiva la sua continua ed incessante evoluzione in forme e colori imprevedibili. Erano la prova della stessa evoluzione, pensò. Un brivido corse giù per la schiena ad entrambi. Lode a G.W.B.
La loro missione nel punto di controllo era finita. Si allontanarono in fretta dalla zona, non scambiandosi una sola parola. Percorsero la strada di ritorno in mezzo ai sassi rugginosi e ai ciottoli marziani, senza fare soste né lamentare alcuna stanchezza. Quando furono abbastanza distanti, giunti quasi ai piedi dell’ astronave, Clifford cacciò fuori di tasca il telecomando e premette rapidamente un bottone facendo esplodere l’ ordigno. Allora il cielo rosso fu squarciato per un’ attimo da un rapido fulmine globulare bianco che si disperse nella nebbia. Poi aprirono il portellone pressurizzato, salirono sulla navetta e, dopo che l' atmosfera artificiale fu ristabilita, si tolsero le ingombranti tute color latte. Clifford e Dean azionarono i comandi automatici che coordinavano il ritorno, il distacco dal pianeta Alieno e il viaggio sino all' aggancio all' orbita terrestre. Si sarebbero svegliati per compiere di persona le manovre di atterraggio sulla base lunare. Si adagiarono sulle brande incassate verticalmente nella parete. Rimasero a labbra serrate anche nel momento in cui le piastre di vetro dell’ ibernazione si calarono a sigillare i loro letti ghiacciati.
Ma un idea rimbalzò nei loro occhi sino a che il sonno non li avvolgesse per i prossimi tre anni, in un ultimo silenzioso dialogo.
- Non era una normale missione di ricognizione mineraria.
- Non erano giacimenti, quelli che G.W.B. ha ordinato di cancellare, cento anni fa.

[ Traduzione di Romano Cuma ]
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